sabato 19 novembre 2016

SI DÀ IL CASO CHE


Dove si trova casa nostra? Domanda apparentemente semplice, se ci si riferisce solamente a un’indicazione topografica, ma decisamente più complessa se mira al “cuore” della questione, all’individuazione del luogo, non solo fisico, nel quale ci si sente maggiormente a proprio agio, di cui si condividono cultura e ideali. Il luogo, insomma, nel quale non solo si soggiorna (dormendo, mangiando e via dicendo) ma al quale si sente di “appartenere”. Chi scrive spesso usa la frase “la mia casa è dove appoggio il mio zaino”, ma si tratta, evidentemente, di un’espressione semplicistica e un po’ a effetto. La nostra casa può trovarsi molto lontana nello spazio e persino nel tempo da dove viviamo fisicamente. Se per motivi vari la vita ci ha portato ad abitare a grande distanza dai luoghi nei quali siamo cresciuti, qual è ora la nostra casa? Quella in cui ci siamo formati e che ci ha dato i ricordi, la lingua (nel senso di idioma), l’appartenenza culturale, persino i gusti culinari, o quella in cui abitiamo ora, con abitudini, parole, tradizioni che possono anche essere completamente differenti. Pare quasi che la domanda “dov’è la tua casa?” cominci a somigliare in modo impressionante alla domanda “chi sei?”. 
Tali quesiti scorrono sotterranei, ma potentissimi, lungo tutta la graphic novel Si dà il caso che, nella quale appare evidente che l’autore Fumio Obata ha inserito molti elementi autobiografici. Per quanto la protagonista sia una donna, la giovane giapponese Yumiko, mentre Obata è un uomo, i due condividono le origini nipponiche e un trasferimento a Londra per motivi di lavoro che si trasforma in permanenza stabile per questioni affettive, culturali, emotive.  
Yumiko è una designer e nelle prime tavole spiega “Sono giapponese e di tanto in tanto torno ancora in Giappone. Ma, qui, Londra, è casa mia.” Casa sua… O almeno ne è convinta. Perché, come spesso capita, la vita ci dà degli strattoni e ci costringe a riflettere anche su ciò che vogliamo evitare. La morte improvvisa, per incidente, del padre obbliga Yumiko a un ritorno precipitoso nella sua città natale, e a un confronto con la sua “vecchia” casa e il suo “vecchio” io. Comincia così un balletto narrativo temporale, grazie a flashback che portano la protagonista avanti e indietro nel tempo, per confrontarsi coi ricordi, con le aspirazioni, col suo stesso essere giapponese. La storia è intrisa di giapponesità, nei pensieri, nei comportamenti, nei rituali che talvolta hanno perso il loro significato originario. Yumiko è intelligente, poiché si pone delle domande, perché riflette sul suo destino, influenzata dal dolore della perdita, dalle pressioni della società (e quelle della società giapponese sono particolarmente forti), ma abbastanza lucida da non farsene soggiogare, perché è ormai chiaro che è figlia di due mondi. Come le tavole che la ritraggono, grandi e ordinate come quelle europee, ma ricche di silenzi e gestualità come quelle nipponiche. Con un disegno solo apparentemente semplice, al contrario attento al dettaglio e all’equilibrio della vignetta come della tavola, in grado di soffermarsi sia sulla visione d’insieme che sul particolare, poiché l’una non esiste senza l’altro. L’uso del colore, poi, è suggestivo e studiato, con tinte che sfumano una nell’altra e flashback che staccano dal resto puntando sul monocromatismo. Si dà il caso è il tipico volume a fumetti che si potrebbe acquistare d’impulso in libreria, dopo averlo sfogliato, proprio per la qualità del disegno, per la suggestione dei suoi paesaggi asiatici, per l’incanto degli scorci cittadini. Ma poi, leggendolo, ci si renderebbe conto che è ancora più valido sul piano narrativo, e che, in fondo, parla di ognuno di noi, o perlomeno di tutti coloro che almeno una volta nella vita hanno dovuto cambiare il luogo e il modo di vivere.    
Forse noi esseri umani siamo come alberi. Le nostre radici sono piantate saldamente a terra e noi non possiamo farne a meno, poiché ci forniscono il nutrimento, ci permettono di crescere. Ma i nostri rami si tendono verso il cielo, lontani dal terreno, guardando al futuro. Probabilmente abbiamo bisogno di entrambe le cose ed escludere una parte o l’altra dell’albero porterebbe alla morte dello stesso. Non possiamo che ringraziare Obata per averci fatto riflettere su questo, in una graphic novel che ha saputo rendere universale il personale come solo i bravi narratori sanno fare.    


Fumio Obata, Si dà il caso che, Bao Publishing, pp. 164, euro 19,00


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