venerdì 27 luglio 2018

IL MIO VICINO TOTORO

Diversi anni fa ho avuto il piacere di curare l’edizione italiana del romanzo di Totoro (dal lungometraggio in animazione di Hayao Miyazaki). Vi ripropongo qui sotto l’introduzione. Il volume è fuori commercio, ma potete trovarlo nel mercato dell’usato.
Sotto il testo, invece, metto delle immagini dall’AM JuJu (una collana di libricini giapponesi) dedicato sempre a Totoro, che con poco testo e molte immagini ripropone momenti salienti del medesimo film. Questo libretto in Italia può essere richiesto a fioridiciliegioadriana@gmail.com.



È un meccanismo classico delle fiabe quello che vuole che queste ultime siano collocate al di fuori dello spazio e del tempo. Il classico incipit "c'era una volta…" tende a spostare la collocazione temporale in un non-tempo passato e lontano, mentre le ambientazioni fantastiche utilizzano un non-luogo molto differente dalla realtà. Il tutto, però, per narrare qualcosa che ha molto a che fare con il reale: odi, amori, avventure, atti eroici. Decontestualizzando la storia, la fiaba vuole semplicemente renderla eterna, adatta a qualsiasi luogo e a qualsiasi tempo. È un po' quanto accade con “Il mio vicino Totoro”. Gli indizi per una sua precisa collocazione spazio-temporale sono sparsi lungo la tutta la vicenda: la campagna giapponese, gli anni Cinquanta (desumibili dai mezzi di trasporto e dalla malattia da cui è afflitta la madre delle giovani protagoniste) e altri dettagli, ci fornisco un quadro tutto sommato abbastanza chiaro di dove e quando si svolge la storia, tuttavia il modo in cui è narrata la rendono una fiaba moderna. Nonostante i deliziosi dettagli nipponici conferiscano una vena poetica, la vicenda avrebbe potuto essere ambientata anche tra i boschi di un Paese europeo, ottenendo il medesimo risultato. Hayao Miyazaki, come in molte altre sue opere, utilizza luoghi e situazioni familiari per raccontare temi senza tempo: il passaggio dalla città alla campagna, le gioie dell'infanzia, la magia della scoperta.
È tipico della fiaba anche il duplice modo di vedere il mondo, quello dei comuni mortali e quello degli "iniziati", individui, in questo caso i bambini, in grado di vedere una creatura fantastica come Totoro (ma è veramente fantastica?).
Prima di concludere, una piccola nota su questo romanzo. È stata Tsugiko Kubo ad accollarsi il difficile compito di trasformare le immagini in parole, con risultati davvero incoraggianti. Per chi temesse di trovarsi di fronte a un duplicato cartaceo del lungometraggio, anticipiamo subito che la scrittrice è stata sia in grado di rendere nuovamente vivi i personaggi e avvincenti le situazioni, ma anche abile – approfittando nel maggiore spazio a disposizione – di aggiungere nuovi dettagli a questa poetica vicenda. Il risultato finale è il libro che stringete tra le mani, ulteriormente impreziosito dalle immagini di Miyazaki, consigliato a grandi e piccini perché, come ogni fiaba, non ha limiti d'età.




mercoledì 25 luglio 2018

BURNING BLOOD


Masami Kurumada (1953) debutta nel mondo dei manga nel 1974. Dopo il classico apprendistato come assistente e qualche storia breve, realizza la sua prima serie di successo, Ring ni Kakero, incentrata sul giovane pugile Ryuji Takane. Nella successiva Fuma no Kojiro, racconta lo scontro tra due clan di ninja.
La popolarità dell’artista viene confermata nel 1986 grazie al manga Saint Seiya (in Italia conosciuto come I cavalieri dello Zodiaco), storia di leggendari cavalieri in armatura che difendono una principessa dalle forze del male, in scenari che devono molto alla mitologia greca. Il manga viene più volte trasformato in anime, rendendo Kurumada noto anche al di fuori del Giappone e i suoi cavalieri amati sia dal pubblico maschile sia da quello femminile, nonostante il manga fosse originariamente uno shonen.
Nell'opera successiva, dal titolo Bt'X, tornano gli eroi in armatura ma in un contesto fantascientifico. Il manga in questione è infatti ambientato nel futuro prossimo, ove il protagonista Kotaro è un luminare della robotica rapito dagli emissari dell'Impero meccanico. Per salvarsi deve trasformarsi in un combattente dalla parte del bene, indossando un'armatura tecnologica e cavalcando il pegaso robotico X.
In tempi recenti Kurumada si è dedicato al rilancio dei suoi personaggi più popolari, i Cavalieri dello Zodiaco, grazie a nuovi manga, prequel della vecchia serie, non sempre affidati alle sue cure.
A prescindere dalle serie e dalla loro ambientazione, in ogni manga di Kurumada emerge evidente la figura classica dell’eroe: un uomo tutto d’un pezzo, pronto a qualsiasi sacrificio pur di vedere trionfare i propri ideali. Il disegno, un po’ incerto agli esordi, si è fatto sempre più deciso e pulito, puntando su personaggi dai grandi occhi e dalle chiome ribelli, nonché su spettacolari scene di combattimento.
Il volume Burning Blood è stato pubblicato più di 20 anni fa (è datato 1996), ma ancora oggi rappresenta ottimamente questa visione eroica e spettacolare dei protagonisti dei suoi titoli, ulteriormente evidenziata dal grande formato (ben 26 per 33 centimetri) che consente alle illustrazioni a tutta pagina di colpire il lettore con tutta la loro forza evocativa.
Kurumada non è, e non sarà mai, un virtuoso del disegno, ma quelle figure dal tratto pulito e semplice continueranno ad accattivarsi la simpatia dei giovani lettori ancora per lungo tempo.
In Italia il volume può essere richiesto a fioridiciliegioadriana@gmail.com.





giovedì 12 luglio 2018

NEL PAESE DEI FIORI DI CILIEGIO


Tra la miriade di mangaka ancora poco noti in Italia spicca il nome di Fumiyo Kouno. Nata a Hiroshima il 28 settembre 1968, Kouno comincia a disegnare manga mentre frequenta le scuole superiori. Si iscrive poi alla facoltà di scienze dell’università di Hiroshima, ma alla fine la abbandona proprio per dedicarsi ai manga. Si trasferisci quindi a Tokyo, ove svolge il lavoro di assistente per alcuni autori professionisti, tra cui Katsuyuki Koda, Aki Morino, Fumiko Tanigawa. Finalmente, nel 1995, pubblica il suo primo manga da autrice completa, Machikado Hana Dayori. Nel 1997 tocca invece a Pippira Note, entrambi per la casa editrice Futabasha. Le sue serie hanno un’ambientazione quotidiana e sono portate sulla carta con un tratto semplice, ma attento ai piccoli dettagli. Inoltre i retini sono totalmente assenti, a vantaggio di un tratteggio discreto che, accompagnato da un uso limitato dei neri, contribuisce a rendere le tavole molto luminose. In Pippira Kouno si concentra sui piccoli volatili, probabilmente ispirata dal canarino di casa, creando brevi storie che diventano anche una sorta di vademecum nella cura e convivenza con queste creature volanti.
Nel 2003 il suo editor in Futabasha le propone di realizzare un manga su Hiroshima. Inizialmente Kouno ritiene che la richiesta si riferisca a una serie sul quotidiano, in linea con le sue precedenti produzioni, ma poi comprende che il redattore desidera invece una storia sulla tragedia di Hiroshima, colpita da una bomba atomica alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Perplessa e un po’ spaventata dal tema (che non ha vissuto in prima persona, ma che da decenni aleggia come un fantasma su tutta la popolazione della città), alla fine Kouno decide di affrontare il compito, dando vita a tre racconti brevi (“Yunagi no Machi”, “Sakura no Kuni”, “Sakura no Kuni 2”), gli ultimi due dei quali collegati tra loro, poi raccolti nel volume Yunagi no Machi Sakura no Kuni edito anche negli Usa col titolo Town of Evening, Country of Cherry Blossom. L’attenzione dell’autrice non si concentra sul momento della terribile esplosione, ma sulle sue conseguenze a lungo termine, posando il delicato sguardo sugli hibakusha (sopravvissuti) e sui loro figli (a loro volta hibakusha) che continuano a morire nei decenni seguenti a causa delle radiazioni. Il dolore fisico di queste persone si accompagna a un dramma psicologico ancor più doloroso, il ricordo struggente e spaventoso di quei momenti fatali, in cui hanno visto parenti, amici, un’intera città sgretolarsi davanti a loro. Un ricordo accompagnato da uno strisciante e terribile senso di colpa, quello di essere appunto sopravvissuti, una fortuna che non è toccata ai loro cari. Così Kouno riesce a trattare lo spinoso tema partendo da un punto di vista a lei congeniale, quello umano, fatto di piccoli gesti quotidiani, lunghi silenzi, ricordi sussurrati, dignitosa sofferenza. Il suo disegno, a volte quasi infantile, che parrebbe poco adatto a tale tipo di storia, si rivela invece ottimale, riuscendo a smussare la crudezza delle scene di morte e a entrare in punta di piedi nella vita dei protagonisti. Il volume è stato trasformato in un film live action, di cui non ci risulta purtroppo esistere una versione occidentale. Quest'anno, però, Kappa Edizioni ha pubblicato il manga su Hiroshima col titolo "Hiroshima. Nel Paese dei fiori di ciliegio".

per tutte le immagini © Fumiyo Kouno



martedì 3 luglio 2018

UN PUGILE MISTERIOSO


La boxe, o pugilato per dirla all’italiana, è conosciuta come la “nobile arte”, poiché dovrebbe esaltare alcune delle migliori caratteristiche dell’uomo, come la forza, il coraggio, l’intelligenza. È partendo da tale ottica che, nel 1867, J.S. Douglas, marchese di Queensberry, scrisse il codice della boxe scientifica, cercando di regolamentare tale disciplina, praticata fin dall’antichità, rendendola meno violenta e trasformandola in uno sport fatto, oltre che di forza bruta, di abilità, destrezza e velocità. A parte qualche differenza, le norme di Queensberry regolano ancora oggi gli incontri sul ring: obbligatorietà dei guantoni, knock out (un pugile perde se non si riprende entro dieci secondi dai colpi ricevuti), categorie di peso (gli incontri devono avvenire tra pugili all’incirca dello stesso peso).
A prescindere dalle intenzioni del nobile, nella realtà la boxe è stata spesso un concentrato di violenza e nel ventesimo secolo anche un mezzo di riscatto per le classi più povere, i cui rappresentanti più forti e determinati vedevano tale disciplina come lo strumento per una scalata sociale negatagli nella vita di tutti i giorni. Come nel caso di Cassius Marcellus Clay Jr., che poi cambiò il proprio nome in Muhammad Ali, più volte detentore del titolo di campione mondiale dei pesi massimi tra il 1964 e il 1978. Anche l’italiano Primo Carnera, campione mondiale nel 1933, trovò nella boxe una via d’uscita alla povera vita d’immigrato, finendo anche per diventare un simbolo del fascismo italiano, che lo sfruttò per pubblicizzare una presunta italica forza.
Proprio a fronte di questo loro duplice aspetto, tragico ed eroico allo stesso tempo, il cinema ha sempre avuto un rapporto speciale con gli atleti della boxe. Risulta persino inutile citare il pugile cinematografico per antonomasia interpretato da Sylvester Stallone, che nel 1976 ha dato il via al fortunato, seppur semplicistico, ciclo di Rocky.
Anche i fumetti hanno immortalano più volte la figura del pugile. Il personaggio più struggente è probabilmente il giapponese Joe Yabuki, noto in Italia come Rocky Joe, nato nel 1968 all’interno del manga dello scrittore Asao Takamori e del disegnatore Tetsuya Chiba. Il protagonista, Joe Yabuki è un teppistello di periferia la cui possibilità di riscatto si presenta ancora una volta sotto forma di guantoni da boxe. Questo fumetto in Italia è ancora visto come qualcosa per ragazzini, ma non in Giappone, ove personaggio e serie godono di una fama e un’apprezzamento straordinari, a tal punto che quando un personaggio moriva nella finzione narrativa gli veniva celebrato un funerale nella realtà. Anche per questo motivo per degli autori giapponesi cimentarsi con l’argomento boxe rappresenta un impegno gravoso. Lo hanno fatto lo scrittore Caribu Marley e il disegnatore Jiro Taniguchi nel volume Blue Fighter, pubblicato in Giappone negli anni Ottanta ma arrivato in Italia solo in questi ultimi mesi. Questa coppia di artisti cerca di distanziarsi da quanto già scritto e disegnato sull’argomento boxe costruendo la figura di un pugile misterioso e taciturno di cui, almeno inizialmente, non si conosce neanche il vero nome. Più picchiatore che stratega della nobile arte, Reggae (questo lo pseudonimo con cui è noto), perde più incontri di quanti ne vinca, ma a prescindere dal risultato mette in ogni match, in ogni colpo, una furia primordiale che lo porta all’attenzione del grande pubblico. La sua carriera sul ring, tuttavia, rimane scadente fino a quando non viene notato da un promoter americano che decide di trasportarlo dal Giappone alle Americhe per dargli fama internazionale e guadagnare dei bei soldi dalla sua ascesa.
È Jiro Taniguchi a portare sulla carta la vicenda. Disegnatore giapponese da diversi anni apprezzato anche in Europa, in questa sede Taniguchi sfoggia un tratto abbastanza diverso da quello più pulito e solare degli ultimi anni della sua carriera, quando preferisce optare per storie maggiormente quotidiane e intimiste. Il Taniguchi di Blue Fighter è quello dei volumi noir, dalle tavole più cupe e dal disegno maggiormente realistico e sanguigno, che nelle vignette dedicate agli incontri di boxe riesce a far emergere la violenza da ogni pugno scagliato, da ogni sguardo impietoso. I suoi boxer si muovono veloci sul ring, le loro corporature sono possenti, i loro muscoli marcati da un fitto tratteggio. L’impostazione delle tavole è perfetta, il senso del dinamismo ineccepibile, e ogni volta che un pugno parte sembra quasi di sentirlo sibilare nell’aria, per schiantarsi sul volto del malcapitato avversario.
Se nulla vi è da contestare sul piano grafico, Blue Fighter desta qualche perplessità su quello narrativo. Caribu Marley talvolta utilizza didascalie ridondanti, che poco si sposano con una storia dal fin troppo crudo realismo. Soprattutto, chiarisce poco del personaggio, il cui alone misterioso può essere affascinante all’inizio, ma diventa frustrante col passare delle tavole, quando si aggiungono nuovi tasselli a un puzzle che tuttavia sembra non volersi mai completare. Insomma, lo sceneggiatore lascia aperte più porte di quante ne chiuda, cosa non inusuale per il fumetto giapponese che tradizionalmente ha un concetto di fine diverso da quello occidentale. La conclusione del volume, dopo aver voltato l’ultima pagina, lascia quindi nel lettore un leggero senso di disorientamento per non aver compreso del tutto la figura del protagonista, pur avendone apprezzato il percorso narrativo. In poche parole, un bel graphic novel che avrebbe potuto essere un ottimo graphic novel se avesse beneficiato di qualche attenzione in più

Caribu Marley (testi) e Jiro Taniguci (disegni)
BLUE FIGHTER
J-Pop - Edizioni BD
pp. 290, euro 15,00


domenica 1 luglio 2018

UN NUOVO VOLUME DI HARUHIKO MIKIMOTO


Nato a Tokyo il 28 agosto 1959 Haruhiko Mikimoto sarebbe dovuto diventare un ingegnere, almeno era questa la facoltà che scelse quando si iscrisse alla prestigiosa università di Keio. Attirato però dagli anime, i cartoni animati giapponesi, di cui era appassionato fin da giovane quando rimase folgorato prima da Yamato e poi da Gundam, decise ben presto di intraprendere una nuova strada. Entrato a far parte del piccolo studio Artland cominciò a dedicarsi a tempo pieno all’illustrazione e all’animazione, il tutto da autodidatta o con l’aiuto di alcuni amici, senza aver frequentato alcuna scuola o corso dedicato al disegno. Il colpo di fortuna, destinato a segnare la sua carriera professionale, arrivò nel 1982, quando la Artland fu contattata per partecipare a una nuova serie televisiva animata: si trattava di “Chojiku yosai Mackuroso” (La fortezza superspazio-temporale Macross), una serie TV che venne in seguito conosciuta in occidente (assemblata con altre serie) col titolo “Robotech”, o semplicemente come “Macross". Il ruolo di Mikimoto in questa serie fu importantissimo, ne era infatti il character designer, colui che si occupa di “costruire”, fisicamente e caratterialmente i personaggi, e uno dei motivi di successo di Macross furono propri i personaggi, e in particolare Lyn Minmay, la bella catanate cinese che nella serie ha un ruolo di primo piano. Da quel momento in poi la strada di Mikimoto fu una continua scalinata, gradino per gradino, sempre più in alto verso il successo. Gli venne affidato il character design del film “Macross, Ai Oboete Imasu Ka” (Ricordi l’amore?), e di un’altra serie fantascientifico robotica, “Chojiku seiki Ogasu” (Orguss, il secolo super spazio temporale). A ruota arrivarono “Toppu o nerae" (conosciuto anche come Gunbuster), “Megazone 23”, “Mobile Suit Gundam 0080”, “Macross II”, “Macross 7” e altri. Alcuni di questi anime risulteranno sconosciuti al pubblico italiano, ma si tratta di titoli popolarissimi in Giappone (molti anche negli Usa) che tra i loro punti di forza hanno anche i personaggi usciti dalla matita di Mikimoto, tra l’altro specializzato in cantanti, o idol come vengono indicate le giovani ragazze dedicatesi al mondo della musica pop, visto che queste sono il tema portante di tutta la saga di Macross e appaiono anche in Megazone 23. Ma Mikimoto non si occupa solo di animazione: “preferisco il lavoro di illustratore”, afferma tranquillo, spiegando che è quello dove si ha più libertà e si è meno pressati dai tempi di consegna, senza contare che lavorando a un anime si collabora sempre con un’equipe, e che quindi bisogna sempre scendere a dei compromessi. I suoi fan certo non si lamentano, le illustrazioni di Mikimoto sono infatti splendide e non compaiono solamente sulle videocassette, i CD musicali e i libri illustrati dedicati agli anime a cui ha lavorato, ma anche su moltissimi romanzi di genere fantastico per cui ha realizzato copertine e illustrazioni interne. Infine c’è il lavoro di mangaka, un lavoro superbo, ma realizzato con meno frequenza rispetto ai lavori nel mondo degli anime. Tra le sue serie più note vi sono “Marionette Generation”, serializzato sul mensile Newtype e ambientato nel Giappone attuale, “Macross 7 Trash”, che lo riporta a lavorare per la serie di fantascienza che lo ha reso famoso, “Gundam Ecole du Ciel” spin-off della celebre serie animazione Gundam. In tutti i manga Mikimoto mette a frutto le sue straordinarie capacità di “costruttore di personaggi” e il suo talento di illustratore, realizzando dei piccoli gioiellini.
Il libro “Mikimoto Haruhiko Character Works” è un “malloppone” di immagini (248 pagine), omaggio alla sua carriera di illustratore e character design più che fumettista. Dalle miriade di immagini contenutevi emerge bene la cura, e la disciplina, che l’artista mette nel costruire ogni personaggio. A volte tale meticolosità può far apparire leggermente freddo il risultato finale, ma la bellezza dei personaggi femminili, l’attenzione per il dettaglio, le atmosfere malinconiche confermano le qualità di un artista che dopo quasi 40 anni di lavoro ha ancora qualcosa da dire.
In Italia il volume può essere acquistato presso fioridiciliegioadriana@gmail.com