lunedì 16 marzo 2020

A ZONZO PER L'ANTICA EDO


In Italia speso i fumetti giapponesi sono visti come serie d’azione o sentimentali, costantemente soggetti a canoni grafici precisi e stereotipati, dalle fitte linee cinetiche agli occhioni luccicanti. Fortunatamente, nel corso degli ultimi anni le cose stanno cambiando, grazie a editori nostrani che, un po’ per necessità di reperire grandi quantitativi di materiali e un po’ per desiderio di mostrare i molteplici volti del panorama giapponese, stanno pubblicando anche autori e opere che si discostano dal filone popolare/adolescenziale. Autori come Koichi Masahara, che sceglie di ambientare un nutrito numero di storie brevi nell’antica Edo, nome dell’attuale Tokyo tra il 1180 e il 1868. L’idea di scegliere quale sfondo della narrazione il Giappone del passato non rappresenta certo una novità, le storie di samurai e geishe abbondano, ma Masahara preferisce concentrarsi su temi meno frequentati, occupandosi del Giappone antico in modo differente, personale e riuscito. I suoi racconti nulla hanno a che fare con l’azione e l’avventura, preferendo mettere al centro dell’attenzione personaggio e ambientazioni. Character sempre diversi si trovano di fronte a questioni grandi e piccole della vita, a problemi quotidiani, a gioie e dolori di esistenze di un tempo passato che presentano elementi di continuità con l’odierno, accanto ad altri oggi inconcepibili. Il tutto con un garbo grafico e narrativo che permette alla sua narrazione di scorrere fluida come una barca su un fiume tranquillo. Un uomo “prigioniero” di un matrimonio, un figlio alle prese con l’eredità paterna, una coppia composta da persone appartenenti a ceti sociali differenti, sono situazioni incontrabili anche nel mondo moderno, ma che al tempo di Edo sono “vestite” in modo differente e che, talvolta, necessitano di soluzioni differenti. Per rappresentare questi temi Masahara sceglie un tratto elegante e personale, per certi versi molto raffinato. Di fronte a sfondi dettagliati e suggestivi, che ricreano le atmosfere del passato, pone personaggi con volti dalle linee taglienti ed espressioni facciali talvolta caricaturali, estremamente comunicative, in grado di trasferire al lettore emozioni e perplessità. Così come la gestualità e le pose dei corpi, mai casuali, al contrario studiate nella loro naturalezza. I personaggi compiono atti lievi, che possono sfuggire a un occhio occidentale ma che sono intrisi di giapponesità: scuotere una mano davanti al viso per negare, tergersi il sudore con un piccolo pezzo di stoffa, sono movimenti tipici che ancora oggi rientrano nell’agire di ogni giorno. Vi è poi una cura e un ordine nella gestione degli elementi che si ravvisa anche nella composizione delle tavole, occupate da vignette rigorosamente rettangolari. Masahara, infatti, rifugge la tentazione di farle sbordare dalla tavola, o di dargli forme inusuali, soluzioni tipiche di quei manga d’azione con cui non ha nulla a che fare. Inoltre, il numero di vignette presenti in ogni tavola è superiore alla media del tankobon (volumetto) giapponese, a dimostrazione della volontà di rendere maggiormente narrativa ogni singola storia. Straordinaria anche la cura per i dettagli. Ogni oggetto quotidiano, dagli ombrelli alle lampade, dalle forcine per capelli ai cibi, è tratteggiato in modo semplice ma efficace e preciso, conferendo ulteriore credibilità e consistenza all’ambientazione. Il desiderio, riuscito, di concretizzare i luoghi e le atmosfere del passato si palesa anche nell’utilizzo, generalmente nel frontespizio di ogni capitolo, delle stampe ukiyo-e di grandi maestri come Hokusai e Utagawa, che Masahara omaggia ridisegnandole. Ma anche in questo caso, pur silenziosamente dichiarando l’apprezzamento e il debito di riconoscimento per i colleghi del passato, Masaharo fagocita, digerisce e rielabora quelle immagini dal sapore antico per sviluppare un proprio disegno più fumettistico, capace di dare forma e profondità (al contrario delle stampe ukiyo-e che tendevano a un certo appiattimento della prospettiva). Suggestive le immagini cittadine, quasi tridimensionali nella loro composizione, piccoli teatri in cui entrare con lo sguardo. Ribadisco, però, ancora una volta che pur a fronte di un impianto grafico ricco e accattivante, il maggior punto di forza di questa antologia resta l’elemento narrativo, la capacità di raccontare spezzoni di vita di persone qualunque e, proprio per questa loro normalità, particolarmente interessanti. Da leggere.

Koichi Masahara
I doni di Edo
Bao, 208 pp, 7,90 euro

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