domenica 22 marzo 2020

TOKYO AT NIGHT


Per il sottoscritto sfogliare le pagine di questo splendido illustration book è come reimmergersi in luoghi e atmosfere provate molte volte nella vita reale, eppure ancora capaci di suscitare forti emozioni. Come Proust alle prese con le madeleine, ogni immagine riporta alla mia memoria le camminate per molte di quelle stesse vie che Mateusz Urbanowicz (polacco trasferitosi a Tokyo, illustratore e animatore) ha sapientemente immortalato su carta. Non è una semplice questione di realismo, di corretta rappresentazione di luoghi e oggetti, ma della ben più complessa capacità di ricreare atmosfere. La Tokyo notturna di Urbanowicz è triste e silenziosa, spettrale, come in effetti è sempre apparsa anche a me. La scelta di non inserire figure umane amplifica la sensazione di solitudine, di malinconica attesa. In effetti, la Tokyo periferica – non quella dei locali notturni o delle zone a luci rosse – nelle ore buie è proprio così: zone residenziali dove quasi tutti dormono, oppure quartieri dedicati al commercio febbrili di giorno (come l’affollatissima Akihabara) che di notte si trasformano in fantasmi di se stessi, con tutti i negozi chiusi e nessuna presenza umana. Lo sguardo cerca un’anima viva, che generalmente non trova, in mezzo a un silenzio inconcepibile di giorno e a luci colorate provenienti da palazzi, sottopassaggi, fermate della metropolitana. Ma, all’improvviso, ecco una viuzza laterale, con le biciclette parcheggiate, la fievole luce della lanterna di un localino ancora aperto, qualche pianta accudita amorevolmente e loro: le macchine distributrici di bibite, onnipresenti con le loro lucine e le coloratissime lattine, quasi fossero sentinelle notturne in attesa dell'alba e del tintinnare delle monetine. Le immagini con la pioggia sono quelle che preferisco, quando le gocce d’acqua e il liquido sull’asfalto riflettono le luci, ampliano la gamma dei colori, come in un dipinto che prende vita. Sì, la Tokyo di notte di Urbanowicz è anche la mia Tokyo e, chissà, forse anche la vostra. In Italia il libro può essere acquistato da fioridiciliegioadriana@gmail.com.






LE BELLEZZE DI SHUNYA YAMASHITA


Classe 1970, Shunya Yamashita è un illustratore dal tratto pulito e morbido, con una predilezione per immagini che ritraggono belle fanciulle. La sua arte è messa al servizio anche di videogiochi e anime, per cui visualizza personaggi longilinei e curvilinei, un po’ sexy ma senza esagerare, anzi dotati di una certa autoironia, che si rivela soprattutto in occhiolini e pose disinvolte. È stato chiamato anche a progettare visivamente alcune action figure di personaggi femminili degli universi Marvel e DC, ma anche di blockbuster cinematografici. Il volume in questione, Beautiful Noise, si concentra prevalentemente su tali personaggi femminili, a figura intera e tutta pagina. Bello da vedere e con testi quasi inesistenti (comunque anche in inglese), che tutto sommato si rivelano abbastanza superflui. Da sfogliare e risvegliare. In Italia acquistabiel preso fioridiciliegioadriana@gmail.com





mercoledì 18 marzo 2020

ARRIVANO LE MAGHETTE!


Tra gli anime (i cartoni animati) per ragazze uno dei filoni maggiormente ricchi è quello delle maghette, noto anche come maho shojo (letteralmente, “ragazze magiche”) o majokko (“maghette” appunto). Come spiega il nome, si tratta di serie incentrate su ragazze, dotate di poteri magici, che possono essre suddivise in tre grandi categorie: maghette, streghette ed eroine. Le prime sono generalmente ragazzine terrestri a cui viene donato un oggetto (bacchetta, ciondolo, cerchietto, ecc.) dotato di poteri che le consentono anche di trasformarsi. Le streghette, invece, il più delle volte sono extraterrestri con poteri già acquisiti. Infine, le eroine più che di magia sono dotate di particolari poteri (esp, tecnologici o altro) acquisiti in modi svariati. Comunque sia, le protagoniste hanno una missione da compiere, del tipo riportare i sogni o l’amore nel mondo, sconfiggere qualche entità malvagia o altro ancora. Le loro avventure sono inoltre spesso infarcite di questioni sentimentali. Quale capostipite del genere viene indicata Mahotsukai Sally (in Italia Sally la maga), prodotta nel 1966 Da Toei Doga. Da quel momento in poi decine di maghette si sono succedute fino ai giorni nostri. Tra le tante vale la pena di citare almeno Bia, Lulù, Minky Momo, Evelyn e le molte serie di Sailormoon. Tra gli studi d’animazione che hanno apportato un contributo significativo al filone vi è lo Studio Pierrot, che nel 1983 ha creato la serie televisiva L'incantevole Creamy (in originale Maho no tenshi Creamy Mami), la cui protagonista è una bambina di 11 anni in grado di trasformarsi in una cantante adolescente grazie a una bacchetta magica. Visto l'enorme successo, a quello storico anime ne sono seguiti molti altri.
In Giappone è da poco stato pubblicato un volume dedicato alle magnete degli anni Ottanta e Novanta, o più precisamente alla moltitudine di gadget a esse collegati, gadget tanto amati da collezionisti e appassionati. Dal titolo '80 and '90 Majokko Toy Book, il volume è una cornucopia di immagini di quegli stessi gadget, in particolare delle apprezzatissime bacchette magiche, tra le più ambite dai majokko fan. Sorta di libro dei desideri per chi ama il genere, è come al solito ben confezionato e apprezzabile anche da chi non comprende il giapponese. In Italia può essere richiesto a fioridiciliegioadriana@gmail.com.







lunedì 16 marzo 2020

A ZONZO PER L'ANTICA EDO


In Italia speso i fumetti giapponesi sono visti come serie d’azione o sentimentali, costantemente soggetti a canoni grafici precisi e stereotipati, dalle fitte linee cinetiche agli occhioni luccicanti. Fortunatamente, nel corso degli ultimi anni le cose stanno cambiando, grazie a editori nostrani che, un po’ per necessità di reperire grandi quantitativi di materiali e un po’ per desiderio di mostrare i molteplici volti del panorama giapponese, stanno pubblicando anche autori e opere che si discostano dal filone popolare/adolescenziale. Autori come Koichi Masahara, che sceglie di ambientare un nutrito numero di storie brevi nell’antica Edo, nome dell’attuale Tokyo tra il 1180 e il 1868. L’idea di scegliere quale sfondo della narrazione il Giappone del passato non rappresenta certo una novità, le storie di samurai e geishe abbondano, ma Masahara preferisce concentrarsi su temi meno frequentati, occupandosi del Giappone antico in modo differente, personale e riuscito. I suoi racconti nulla hanno a che fare con l’azione e l’avventura, preferendo mettere al centro dell’attenzione personaggio e ambientazioni. Character sempre diversi si trovano di fronte a questioni grandi e piccole della vita, a problemi quotidiani, a gioie e dolori di esistenze di un tempo passato che presentano elementi di continuità con l’odierno, accanto ad altri oggi inconcepibili. Il tutto con un garbo grafico e narrativo che permette alla sua narrazione di scorrere fluida come una barca su un fiume tranquillo. Un uomo “prigioniero” di un matrimonio, un figlio alle prese con l’eredità paterna, una coppia composta da persone appartenenti a ceti sociali differenti, sono situazioni incontrabili anche nel mondo moderno, ma che al tempo di Edo sono “vestite” in modo differente e che, talvolta, necessitano di soluzioni differenti. Per rappresentare questi temi Masahara sceglie un tratto elegante e personale, per certi versi molto raffinato. Di fronte a sfondi dettagliati e suggestivi, che ricreano le atmosfere del passato, pone personaggi con volti dalle linee taglienti ed espressioni facciali talvolta caricaturali, estremamente comunicative, in grado di trasferire al lettore emozioni e perplessità. Così come la gestualità e le pose dei corpi, mai casuali, al contrario studiate nella loro naturalezza. I personaggi compiono atti lievi, che possono sfuggire a un occhio occidentale ma che sono intrisi di giapponesità: scuotere una mano davanti al viso per negare, tergersi il sudore con un piccolo pezzo di stoffa, sono movimenti tipici che ancora oggi rientrano nell’agire di ogni giorno. Vi è poi una cura e un ordine nella gestione degli elementi che si ravvisa anche nella composizione delle tavole, occupate da vignette rigorosamente rettangolari. Masahara, infatti, rifugge la tentazione di farle sbordare dalla tavola, o di dargli forme inusuali, soluzioni tipiche di quei manga d’azione con cui non ha nulla a che fare. Inoltre, il numero di vignette presenti in ogni tavola è superiore alla media del tankobon (volumetto) giapponese, a dimostrazione della volontà di rendere maggiormente narrativa ogni singola storia. Straordinaria anche la cura per i dettagli. Ogni oggetto quotidiano, dagli ombrelli alle lampade, dalle forcine per capelli ai cibi, è tratteggiato in modo semplice ma efficace e preciso, conferendo ulteriore credibilità e consistenza all’ambientazione. Il desiderio, riuscito, di concretizzare i luoghi e le atmosfere del passato si palesa anche nell’utilizzo, generalmente nel frontespizio di ogni capitolo, delle stampe ukiyo-e di grandi maestri come Hokusai e Utagawa, che Masahara omaggia ridisegnandole. Ma anche in questo caso, pur silenziosamente dichiarando l’apprezzamento e il debito di riconoscimento per i colleghi del passato, Masaharo fagocita, digerisce e rielabora quelle immagini dal sapore antico per sviluppare un proprio disegno più fumettistico, capace di dare forma e profondità (al contrario delle stampe ukiyo-e che tendevano a un certo appiattimento della prospettiva). Suggestive le immagini cittadine, quasi tridimensionali nella loro composizione, piccoli teatri in cui entrare con lo sguardo. Ribadisco, però, ancora una volta che pur a fronte di un impianto grafico ricco e accattivante, il maggior punto di forza di questa antologia resta l’elemento narrativo, la capacità di raccontare spezzoni di vita di persone qualunque e, proprio per questa loro normalità, particolarmente interessanti. Da leggere.

Koichi Masahara
I doni di Edo
Bao, 208 pp, 7,90 euro